Con la generale spinta all’economia verde o green economy a seguito dello scoppio della pandemia del Covid-19, l’attenzione è tornata prepotentemente sul settore delle energie rinnovabili. Quali sono le prospettive nell’era post coronavirus? Business Insider ne ha parlato con Ciro Mongillo, amministratore delegato (ceo) e partner fondatore di Eos Investment Management Ltd, gruppo con base a Londra specializzato nella gestione di fondi di investimento alternativi focalizzati sull’economia reale e rivolti a investitori qualificati e istituzionali.
Qual è l’atteggiamento degli investitori verso le energie rinnovabili e comè cambiato ed eventualmente cambierà con il coronavirus?
“Nei confronti delle energie rinnovabili c’è stato un aumento della sensibilità degli investitori istituzionali, italiani e internazionali. Già da un paio di anni riscontravamo una maggiore attenzione alle tematiche Esg (ambiente, sociale e governace, ndr), per alcuni soggetti a livello di pura curiosità e per altri come vero e proprio criterio di investimento. L’auspicio è che, anche a seguito della pandemia, aumenti ulteriormente questa seconda categoria di investitori”.
Cosa può fare il governo per favorire questa tendenza: rafforzare gli incentivi alle rinnovabili?
“Gli incentivi sono stati molto utili per creare la cultura intorno alle rinnovabili ma è scorretto identificare le rinnovabili con gli incentivi. Per quanto ci riguarda, due anni fa abbiamo ritenuto che l’epoca degli incentivi fosse finita e ci siamo perciò spostati sulla grid e la market parity”, ossia rispettivamente l’economicità di un investimento in un impianto anche in assenza di incentivi e l’effettiva competitività sul mercato energetico all’ingrosso tra produzione da rinnovabili e produzione da fonti fossili.
“In quest’ottica abbiamo aggregato dei piccoli impianti per sfruttare le economie di scala e le varie sinergie. Ci siamo così concentrati su impianti di grandi dimensioni per la produzione di energia verde; in altri termini, vere e proprie infrastrutture”.
Se l’epoca degli incentivi è passata, c’è qualcos’altro che il Governo può fare per contribuire allo sviluppo del settore?
“L’opificio delle rinnovabili rappresenta oggi un’economia reale che deve fare i conti con un grande problema: la burocrazia. I tempi di autorizzazione di un impianto sono, infatti, lunghissimi: vanno dai due ai cinque anni e possono addirittura arrivare a otto in alcune regioni. Ora si sta parlando di semplificazione in sede di governo. La nostra speranza è che si riesca a snellire l’iter autorizzativo del nostro settore. Anche il Renewable Energy Report dell’Energy Strategy Group del Politecnico di Milano ha di recente affrontato, tra le altre cose, la questione delle barriere burocratiche, intese sia come anni necessari per ottenere i via libera sia come autorità coinvolte, non sempre tutte d’accordo. Eppure il solare e l’eolico meritano un’attenzione molto elevata da parte del legislatore, anche perché la tendenza generale, nelle aziende, è quella di affrontare i temi della green economy non più tramite l’ufficio acquisti ma direttamente da parte dell’amministratore delegato”.
Voi come vi state muovendo?
“Nel nostro fondo sulle rinnovabili abbiamo inserito anche professionisti con forti competenze tecniche perché la sola analisi finanziaria non basta più. Servono anche quella tecnica e ovviamente quella legale, proprio con l’obiettivo di accelerare il percorso autorizzativo degli impianti. Più in generale, stiamo investendo molto sul settore delle rinnovabili, puntiamo alla grid parity e i criteri Esg sono per noi fondamentali. Gli investitori istituzionali rappresentano la nostra platea di riferimento”.
Perché le rinnovabili sono un tema che piace sempre di più agli investitori istituzionali?
“Uno dei motivi principali è che si tratta di un’asset class decorrelata dall’andamento dei mercati e caratterizzata da una bassa volatilità. Tra l’altro, oggi chi non investe in Esg deve prestare molta attenzione perché questa decisione può avere implicazioni forti in termini di reputazione”.