Il private equity non si ferma e si dimostra non solo un comparto in ottima salute ma anche uno di
quelli che più di tutti hanno saputo rimanere compatti di fronte all’emergenza sanitaria del Covid.
Quanto emerge dal 19° report dell’Osservatorio Private Equity Monitor della Liuc Business School,
realizzato in collaborazione con Eos Im, Ey, Fondo Italiano d’Investimento, McDermott Will &
Emery e Value Italy, che sarà presentato oggi alle 16.30. Il report si concentra sia sul primo
semestre del 2020 sia sul 2019, che stato l’anno dei record del settore private equity italiano. Le
nuove operazioni realizzate sono state 221, in aumento dalle 175 del 2018 (il precedente primato).
La ripresa del comparto dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 è stata robusta: dopo i minimi
toccati nel 2009 (solo 55 operazioni), il trend di crescita è stato costante, fino a raggiungere le sue
vette massime lo scorso anno. «Il settore del private equity conferma e anzi consolida nel 2019
l’eccellente stato di salute già evidenziato ormai da un triennio», spiegano Anna Gervasoni e
Francesco Bollazzi, presidente e responsabile del Pem, nel presentare il rapporto in un
comunicato stampa.
Il profilo medio dei deal? Operazioni di buyout (75%% del totale) che riguardano imprese private
e familiari (77%%), realizzate nelle regioni del Nord (con la Lombardia in testa a quota 38%% del
mercato) su aziende relative a beni di consumo e prodotti per l’industria (5o%%). L’operatore più
attivo è Xenon Private Equity, con ben nove deal 1/2 all’attivo. Interessante notare che il volume
dei ricavi è in diminuzione rispetto all’anno precedente: il dato mediano è di 35 ,6 milioni di euro,
mentre nel 2018 era stato di 44 ,5 milioni. Sintomo del fatto che le società di private equity scelgano
sempre più spesso di puntare sul bacino delle piccole e medie imprese. Il dato è rafforzato dalla
diminuzione del numero medio di dipendenti, da 142 del 2018 a 112 dell’anno successivo.
E il 2020? La crisi del Covid-19 non ha avuto impatti pesanti sul settore: i deal realizzati al 30
giugno sono stati 93, in linea con il 2019 (quando furono 95). Il profilo delle operazioni è quasi del
tutto analogo all’anno precedente, a dimostrazione del fatto che il settore non ha subito i mutamenti
di abitudini e profili di investimento condizionati dalla pandemia in altri comparti. «In questo
momento di particolare difficoltà per l’economia del Paese», afferma Roberto Del Giudice, partner
di Fondo Italiano d’Investimento, «gli operatori di private equity si confermano attori importanti per
rafforzare la competitività delle imprese italiane, dotandole di strumenti finanziari, manageriali e
tecnologici e sostenendo processi di crescita». Gli ha fatto eco Gianni Galasso di Eos Im, per il
quale il private equity è lo strumento migliore in un contesto di mercato «che richiede sempre più
capacità di evolvere e sistematicità nella innovazione, entrambi verso modelli di business sempre
più sostenibili». Fiducioso anche Marco Canale di Value Italy, per il quale la forza del segmento è
data dalle «competenze e l’esperienza dei gestori, insieme alle risorse finanziarie, che possono
fornire un contributo ancora più importante per le imprese italiane nell’attuale congiuntura».
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Source
Milano Finanza
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